Dott. Luigi Provenzano -6 Novembre 2015-
Volenti o nolenti siamo isolani e come tali per definizione viviamo su di un’isola, la Sicilia … splendida terra in mezzo al mediterraneo. Proprio per la nostra posizione geografica da secoli, forse da sempre in realtà, siamo punto di approdo di altre genti, di altri popoli, in cerca di fortuna, in cerca di un approdo sicuro per mete ben più lontane della nostra terra. Sin dai primi libri di scuola abbiamo letto di altri popoli che hanno influenzato la nostra cultura.
Oggi tutto ciò è sotto i nostri occhi, li vediamo ogni giorno in tv, assistiamo ai loro sbarchi, alle loro piccole grandi imbarcazioni fatiscenti che vengono ormeggiate nei nostri porti … li vediamo come realmente sono, non ci limitiamo più ad immaginarli fantasticando mentre leggiamo i racconti di uno storico. Per alcuni sono invasori che vengono ad imporre le proprie leggi mentre ci rubano cose che già per noi non sono sufficienti, per altri sono poveri disperati che cercano di salvare la propria vita da guerre, carestie e assurde dittature. Comunque la pensiamo, siamo sicuramente vittime di un pregiudizio!
Ma cos’è un pregiudizio? Per definizione un pregiudizio è un “giudizio basato su opinioni precostituite e su stati d’animo irrazionali, anziché sull’esperienza e la conoscenza diretta”, “un’idea errata” molto simile alla superstizione. Non ragioniamo volutamente usando pregiudizi, essi sono parte fondamentale del nostro pensiero. Se togliessimo la connotazione negativa che spesso attribuiamo al pregiudizio, ci renderemmo conto che è semplicemente un modo di interpretare la realtà circostante in base ai nostri schemi mentali. Abbiamo infatti la necessità di categorizzare la realtà e semplificarla per darvi un senso, specialmente quando è una realtà a noi sconosciuta o poco conosciuta, non potendone valutare tutte le sfumature (l’uomo ragiona con euristiche, scorciatoie). Il pregiudizio infatti ci aiuta nella vita, ci semplifica la realtà, ci permette valutazioni più rapide. E’ il risultato di molteplici fattori quali ad esempio la propria cultura, gli istinti, il proprio gruppo d’appartenenza, il proprio status, l’educazione, l’imprinting della famiglia etc. Allport definisce il pregiudizio come il “pensar male degli altri senza una ragione sufficiente” . Dato che non siamo in grado di valutare ogni elemento della realtà, ogni fattore, ci avvaliamo di euristiche per formare i nostri giudizi. Spesso questo processo avviene scartando i dati che vanno contro il nostro giudizio e valutando solo i dati che lo confermano. Se penso che gli extracomunitari siano cattivi, penserò che quel bravo ragazzo straniero che ha sventato la rapina perdendo la propria vita sia solo un’eccezione, mentre la norma è l’extracomunitario violento che investe le ragazzine che stavano andando a scuola. Partiamo da stereotipi (componente cognitiva) per poi passare al pregiudizio (componente valutativa) strettamente legato alla componente affettiva. Da ciò ne consegue spesso la discriminazione, che è il risultato comportamentale del nostro processo mentale.
Il pregiudizio e la discriminazione poi sfociano nell’effetto Rosenthal (meglio noto come effetto pigmalione) ovvero la profezia che si autoadempie, semplificando estremamente significa che se giudico una cosa o una persona come negativa, essa diverrà realmente negativa come hanno dimostrato vari esperimenti ad esempio Jane Elliot. Il pregiudizio provoca discriminazione, ci convinciamo sempre più di ciò che pensavamo ed il cambiare opinione diverrà sempre più difficile. Da ciò ne deriva che chi viene discriminato (più o meno lentamente) assumerà il ruolo che gli altri gli attribuiscono. Se penso che sei cattivo, lentamente diverrai realmente cattivo a causa di una riduzione dell’autostima e della motivazione.
Eliminare i pregiudizi è davvero molto complesso, ma ridurli non è impossibile. Un primo passo potrebbe essere il creare punti di contatto con le altre culture, con chi è diverso da noi. Un punto di partenza per avviare una comunicazione, uno scambio di informazioni che potrebbe permetterci di ritrovare del bello in qualcosa che pensiamo non abbia lati positivi. Conoscere l’altro significa ridurre l’assenza di informazioni reali che la nostra mente colma con idee spesso irrazionali e talvolta persino bizzarre. Spesso abbiamo paura di accogliere l’altro perché temiamo possa distruggere ciò che è nostro, che possa soppiantare la nostra cultura, ma integrare non significa perdere qualcosa, bensì arricchirsi. Solo il confronto con chi è portatore di qualcosa di differente può arricchirci. Funziona così perfino in biologia: abbiamo bisogno di un partner con un patrimonio genetico differente dal nostro per migliorarci. Mio figlio non sarà la mia copia esatta, ma sarà migliore geneticamente. Dopotutto, senza l’influenza di altre culture, Palermo non sarebbe così bella, basti pensare alla Cappella Palatina voluta da Ruggero II di Sicilia: porte normanne, archi arabi, cupola bizantina e scritte arabe, decisamente un capolavoro dell’integrazione!